| "[...]Il noto in genere, appunto perché noto, non è conosciuto. Quando nel conoscere si presuppone alcunché come noto e lo si tollera come tale, si finisce con l’illudere volgarmente sé e gli altri; allora il sapere, senza nemmeno avvertire come ciò avvenga, non fa un passo in avanti nonostante il grande e incomposto discorrere che esso fa. Senza ponderazione, il soggetto e l’oggetto ecc., Dio, la natura, l’intelletto, la sensibilità ecc., vengono posti a fondamento come noti e come qualcosa che ha valore sicuro, e costituiscono dei punti fissi per l’andata e il ritorno; il movimento corre su e giù tra questi punti che restano immoti e ne sfiora soltanto la superficie. Così l’apprendere e l’esaminare consiste soltanto nel vedere se ognuno trovi anche nella sua rappresentazione quello che hanno detto: se proprio sembri così, e se così gli sia noto o meno. L’analisi di una rappresentazione come di solito era condotta, non consisteva in altro che nel superare la forma del suo esser-nota. Scomporre una rappresentazione nei suoi elementi originari è un ritornare ai suoi momenti, i quali per lo meno non hanno la forma della rappresentazione trovata, ma costituiscono l’immediata proprietà del Sé. Una tale analisi giunge bensì solo a pensieri che, anch’essi, sono determinazioni note, salde, ferme. Ma questo separato, questo stesso ineffettuale, è un momento essenziale; infatti, solo perché il concreto si separa e si fa ineffettuale, esso è ciò che muove sé. L’analisi del separare è la forza e il lavoro dell’intelletto, della potenza più mirabile e più grande, o meglio della potenza assoluta.[...]"
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